domenica 5 settembre 2010

"DE VULGARI ELOQUENTIA"

Gli unici due libri dell'opera sono comunque più che sufficienti a fornire un'informazione completa di quanto il Sommo considerasse il volgare, e di come intendesse elevarlo al fine di rendergli dignità e bellezza.


Nel primo libro, dopo aver premesso che, certamente, l'umanità dovette esprimersi in una lingua unica, generatasi intorno alla parola "EL", cioè "Dio", Dante passa ad analizzare la successiva frammentazione delle medesima in seguito all'erezione della torre di Babele, simbolo della presunzione umana.


Nate le diverse lingue, di cui gli attuali volgari sono la diretta discendenza, sorse il problema, in determinati periodi storici, di unificare a vario titolo le espressioni. I Romani, più di altri, avvertirono questa esigenza, connessa con il loro ideale di ridurre il mondo intero sotto la loro legge.

Da quest'esigenza, espressa attraverso un'altissima civiltà, nacque la "grammatica", ovvero il "Latino", lingua della ragione, immutabile e regolata da leggi che resistono al tempo e quindi adatta a permettere la comunicazione tra uomini di diversa estrazione e collocazione, non solo geografica, ma - e non è cosa da poco - storica.

E' grazie al Latino, infatti, che l'umanità ha potuto far tesoro della sapienza degli antichi.

Dante passa poi ad analizzare i dialetti italici, che egli raggruppa in quattordici idiomi principali, di cui nessuno merita il titolo di lingua eccellente, nemmeno il toscano! Anzi, per la verità, egli stima il bolognese, il miglior dialetto municipale, sebbene non sia così alto da poter essere adottato come lingua nazionale. Lingua che deve possedere quattro requisiti fondamentali, e cioè deve essere:
* illustre
* cardinale
* regale
* curiale.

Il secondo libro è una ricerca più particolare di ciò che occorre perchè una lingua possieda le quattro caratteristiche sopra citate. Dante precisa che una lingua non si esprime mai allo stesso grado poichè è necessario che "rifletta" il livello di colui che la parla.

Certamente un volgare illustre sarà utilizzato da un uomo illustre, che il Sommo individua tra coloro che esercitano la loro dialettica in attività nobili.

Inoltre la lingua deve adeguarsi alla materia che tratta; uno stile "elevato" diventa ridicolo se usato per questioni di poco conto, almeno quanto appare sconveniente che, con uno stile "umile", si trattino argomenti eccelsi.

Dante, perciò, classifica lo stile di una lingua in tre livelli differenti:
* tragico o alto
* comico o basso
* elegiaco o medio.

Prima che l'opera sia interrotta, egli ha modo di interessarsi dell'espressione tragica, che trova perfettamente realizzata nella poesia, soprattutto dalla canzone; questa, infatti, è una composizione d'alto contenuto e di stile impeccabile come dimostrano la sua struttura. Strofe compiute e bene articolate, che perciò si chiamano più propriamente "stanze", e versi nobili, a cominciare dall'endecasillabo, il più importante, il più musicale e, dunque, anche il più utilizzato nella canzone.

E' forse pleonastico sottolineare che, come sostiene il Sommo nella premessa, il "De vulgari eloquentia" è la prima opera che tratti dell'eloquio in una lingua volgare.

Nicoletta E. Stagi

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